Il carrubo è un
albero, che alligna, e prova bene nel territorio di Gaeta, mediocremente in
quello di Formia, meglio in quello di Trivoli (Trivio), Maranola,
Castellonorato, quantunque più distante da Gaeta. Dalla parte poi opposta
mediocremente prova in Itri, poco meglio in Sperlonga (luogo marino), male in
Fondi, e di là dai due estremi la coltivazione di quest'albero si estingue.
Volendosi quindi formare un’idea adeguata e dell’estensione produttivo di
codesto frutto del circondario, si potrebbe considerare il territorio gaetano
come il vertice di un triangolo i cui lati si prolungano quattordici a quindici
chilometri, l’uno lungo il mare la cui postura più calda è da oriente ed a
mezzogiorno, l’altro dentro una postura contraria e più fredda. Stando intanto
al fatto pratico, pare che detta pianta si giovasse del clima caldo e marino,
dei terreni secchi, pietrosi, di pendio e poco grassi, infatti trattandosi di
clima, la Sicilia è più abbondante
di carrube, le quali sono pure migliori di quelle di Gaeta, il che non può
interamente attribuirsi alla differenza di specie; poiché le stesse carrube
dette spinose, che ancora qui si coltivano, non hanno lo stesso valore di
quelle di Sicilia. La differenza che osservasi tra il territorio gaetano e
quello della Sicilia rendesi ancora notevole tra differenti punti dello stesso
territorio del Lazio meridionale, il quale, perché frastagliato di colli e
montagne con scarso terreno piano negli avvallamenti, offre varietà nel clima e
nella postura. Quale agricolture di Gaeta non conosce la differenza delle
carrube per qualità e quantità della calda e marina contrada di Sant'Agostino e
quelle delle adiacenze della fredda ed umida vallata di Casalarga e Casaregola?
La coltivazione di detta pianta, è che alligna bene e produce buon frutto nei
terreni secchi, pietrosi e di pendio; tutto al contrario nei terreni bassi,
umidi e paludosi. A questo proposito nel tenimento di Formia, tra contrada
Palazzo ed Acquatraversa, terreno piano per il quale corre un rivoletto,
qualche maestoso albero di carrube dai coloni tenuto per uso di capanna onde
difendersi dai raggi solari, il quale non ostante la foltezza ed estensione dei
suoi rami, non produceva che poche, contorte ed incenerite carrube non per qualità
della specie, ma per pessima vegetazione del frutto; hanno assicurato i
proprietari indigeni che da quei luoghi questa pianta non sfoggia che in rami e
pampini. Ecco come spiegasi, quando si consideri la posizione e l’elevatezza
del suolo, perchè Trivoli (Trivio), Maranola, Castellonorato, quantunque in
distanza maggiore di Gaeta, producono carrube migliori di alcune contrade del
territorio formiano, il quale trovasi più vicino. Calcolando intanto da per
tutto nel Circondario di Gaeta la raccolta annua di carrube, essa può giungere a
termine medio a quintali diecimila, prendendo la metà del prodotto di anni due,
di questi diecimila una metà è data dal territorio gaetano, un quarto da quello
di Formia ed un altro quarto dagli altri paesi sopra nominati. Queste notizie
sono tratte dagli annali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio
del 1871 (Tipografia del Regio Istituto Sordo-Muti).
giovedì 27 maggio 2021
sabato 15 maggio 2021
I vini del golfo di Gaeta
Dall’antica
città di Terracina (Anxur) nel medesimo lido della Campania, dove il golfo per
una curva di cento stadi si stende fino al promontorio di Gaeta, che da il nome
all’omonimo golfo, sorge la città di Gaeta famosa per l’antichità e per la sua
forte posizione. Già. Virgilio ne eternava la fama coi nobilissimi versi che
danno principio al canto 7°, celebrando la donna, onde fu nomata dal pio Enea:
“Ed ancor-tu d’Enea fida autrice Gajeta,
ai neutri lidi eterna fama desti morendo”. La qual città per la sua postura
sull‘altissimo promontorio e poi magnifico porto, opera di Antonino Pio e per
l‘amenità delle sue campagne, che si stendono per dieci miglia fino al fiume Garigliano,
dove si aprono in vaste pianure con piccole collinetta di qua e di là della Via
Appia e splendida per abbondanza di ottimi prodotti e di ogni qualità di vini,
ma specialmente per la precoce fecondità. delle sue terre. Per il fatto che, essendo tutte irrigate le
sue vallette da carezzevoli fonti, non è meraviglia che di li come dal
mitologico corno dell‘abbondanza, pievano in tutto l’anno le primizie di ogni
genere ad ornar le piazze di Napoli e di Roma. Per la qual cosa, sebbene per la
prossimità dei colli Falerni non vi sia genere di uva che non vi provenga,
tuttavia si ha quivi l’ambiziosa diligenza di aiutare in modo la natura del
suolo favorita dalle aura marittime, che prima del mese di marzo si hanno quei
prodotti, che nella stessa Campania felice non maturano che in maggio od in giugno
tanto essi ne fanno anticipare i proventi e la fecondità fin dal tempo delle invernali
bruma. Fra i vini detti generosi dagli antichi non si devono ammettere quelli
di Fondi e di Formia, ciò che ci conduce a ragionare delle fecondità del
territorio di Gaeta e delle altre città del litorale rispettabilissime ai
Romani e celebrate dagli scrittori pei loro pingui campi e per vigneti una
volta deliziosissimi e ne sono testimoni Orazio, come si è detto e Strabone e
Plinio, specialmente cadendo loro il discorso sui divorzi della nobiltà romana
che avvenivano frequenti in quelle terre e molto si fermano ad indicarne la
naturale fecondità in ogni genere di produzioni, poiché lungo quei lidi una
spontanea forza della natura presenta magnifico spettacolo di alberi, germogli
di un verde perpetuo, boschetti di aranci, di pini, di lauro, intersecati qua e
la da mirteti e da rigagnoli di acque di fonte che innaffiano perennemente i
prati e le stesse piante. Dell’antica Formia poi appaiono anche oggidì maestose
rovine sopra lo stesso seno di mare e non lungi dalla Via Appia sorge la
cittaduzza di Mola, che prende il suo nome dall’essere stata edificata sulle
moli (mucchi) di quelle rovine, non dalle moli che macinano le farine come
hanno creduto alcuni, ora non ha che vigne e vini volgari. Lo stesso Marziale
pur avendo tra gli altri luoghi più celebri d’Italia, commemorato, così
scherzando, anche quelli di questo litorale, eccita anche noi il prurito di
chiudere questo capitolo intorno al vino di tal lido, con quel suo epigramma
del libro X che comincia “O dolce
littorale della temperata Formia” dove antepone le sue delizie a quelle di ogni
altro luogo d’Italia dei suoi tempi, non escluso il Tuscolano, il Tiburtino,
Gabli, Prenesti e le amenissime baje, tanto per la temperatura atmosferica,
quanto per il grazioso pendio del suolo e per la gioconda comodità della pesca,
della quale dice che i pesci, sporta che loro è l’esca, accorrono a farsi
prendere al noto fischio e scherzano davanti a chi li pesca e li chiama per nome rombi, murene. (Notizie
tratte dagli annali di viticoltura ed enologia italiana, direttore ing.
Cerletti, del gennaio 1875).