Continua il nostro viaggio nella storia del Lazio meridionale; questa
volta sfogliando la “Nuova guida di Napoli, dei contorni di Procida, Ischia e
Capri” di G.B. De Ferrari del 1826, percorriamo un tratto della Via Appia,
partendo da Itri, che è descritto come un gran villaggio, sei miglia lontano
dal mare e vi si vede ancora un grande avanzo delle mura ciclopiche. Diversi
autori vogliono, che questa sia l'antica città, chiamata da Orazio “Urbs
Namurrurum”. Questo villaggio è piantato fra le colline, dove sono molte vigne,
alberi di fichi, di alloro, di mirto e di lentisco, da cui scola la preziosa
gomma del mastice; la posizione è amena, le campagne deliziose e le produzioni
varie, dunque si provano sensazioni indescrivibili. Avanzando verso Mola di
Gaeta, si nota a destra della strada un’antica torre, la quale si crede essere
stata il sepolcro di Cicerone, eretto dai suoi liberti, nel luogo dove fu
ucciso. E’ un edificio di forma rotonda, innalzato sopra un basamento quadrato;
la parte circolare è a due piani fatti a volta e sostenuti nel mezzo da un
masso rotondo in forma di colonna. Questo monumento è traversato da una strada,
che potrebbe essere quella, per cui Cicerone andava dalla parte del mare,
quando fu assassinato. Poco lontano vi è una fontana, che si suppone essere
quella di Antiochia,
verso la quale Ulisse incontrò la figlia del Re dei Lestrigoni, secondo quanto
dice Omero. Tra la torre e Mola di Gaeta, la strada domina una dilettosa veduta
della città e del golfo di Gaeta, come anche del monte Vesuvio e delle isole
circonvicine a Napoli. Otto miglia dopo Itri si trova Mola di Gaeta. Questo è
un grosso borgo, situato presso il mare del golfo di Gaeta. Fu edificato sui
resti dell' antica Formia, città de' Lestrigoni, la quale poi è stata abitata
dai Laconiani, di cui parla Ovidio nel XIV libro delle sue metamorfosi. Questa
città era rinomata negli antichi tempi, per la sua bella posizione e per la
bontà de vini, che Orazio stima al pari di quelli di Falerno. Fu poi distrutta
da'Saraceni nell' 856. Non vi è porto a Mola, ma vi sono molti pescatori, la
spiaggia è deliziosa: da una parte si vede la città di Gaeta, la quale, avanzandosi
sul mare, forma una superba veduta, dall' altra parte, verso Napoli, si vedono
le isole di Ischia e di Procida. A Castellone, che rimane tra Mola e Gaeta, si
crede che ci siano i resti della casa di campagna di Cicerone, che egli
chiamava Formianum, dove Scipione e
Lelio andavano spesso a ricrearsi, vicino alla quale egli fu assassinato
nell’anno 44 a.C., all’età di 64 anni, al tempo della grande proscrizione,
mentre egli fuggiva nella sua lettiga per liberarsi dal furore di Marcantonio.
Cinque miglia distante da Mola si trova Gaeta, città di diecimila anime,
situata sul declivio di una collina. La sua origine è antichissima , credendosi
fondata da Enea in onore di Cajeta, sua nutrice, la quale vi morì, secondo
Virgilio. Aen. 7. 1 “Tu quoque littoribus
nostris, Aeneia Nulris, Aeternam moriens fumam, Cujela, dedisti, et nunc servat
honos sedem tuus, ossaque nomen Hesperia in magna, si qua est ea gloria,
signant.” La posizione di Gaeta è sopra un golfo, la cui spiaggia è
deliziosa; era anticamente coperta di belle case ed ancora se ne osservano
alcune rovine, come nel golfo di Baja acciocché prova il gusto che avevano gli
antichi Romani per queste spiagge, le quali veramente sono deliziose. Questa città
è quasi isolata nel mare e non comunica col continente, che per una lingua di
terra e vi si entra per sole due porte, le quali son ben guardate. Il suo porto,
che è grande e comodo, fu costrutto, o almeno restaurato da Antonino Pio. Appresso
al porto vi è un sobborgo assai vasto. Si vede sulla sommità della collina di
Gaeta, una torre, volgarmente detta Torre di Orlando, che è il monumento più
rimarchevole di questa città; secondo l' iscrizione che è sopra la porta, si
conosce, che questo era il Mausoleo di Lucio Munazio Planco, che è reputato
fondatore di Lione e quello che persuase Ottaviano a preferire il sopranome di
Augusto a quello di Romolo, che alcuni adulatori volevano fargli prendere, come
restauratore della città di Roma. Il succitato mausoleo deve essere stato
eretto sedici anni avanti l'Era Cristiana. Vi si vede ancora una superba colonna
di dodici facciate, sulle quali sono incisi i nomi di diversi venti, in greco
ed in latino. In Gaeta vi è una buona fortezza , la quale fu costrutta nel 1440
da Alfonso d'Aragona, accresciuta dal Re Ferdinando e da Carlo V, che fece
circondare la città di grosse muraglie, tanto che essa è riguardata come la
principale fortezza del Regno di Napoli. In una delle sue camere si è conservato
per lungo tempo il corpo del contestabile Carlo di Borbone, generale delle
truppe di Carlo V. Questo contestabile fu ucciso nell’assedio di Roma, che fu
saccheggiata dal suo esercito, nell'anno 1528, dopo che per gran tempo egli aveva
tenuto assediato il Pontefice Clemente VII. Vi si vedeva il cadavere stesso,
diversi anni addietro; ma si assicura, che il Re Ferdinando IV lo fece seppellire
con funerali degni della sua riputazione. Gaeta ha sostenuto ultima mente due
lunghi assedi, uno nel 1806 contro i Francesi e l'altro nel 1815 contro gli
Austriaci. La chiesa cattedrale è dedicata a sant’Erasmo, Vescovo di Antiochia,
protettore della città di Gaeta. Vi si vede un bel quadro di Paolo Veronese e
lo stendardo, che san Pio V donò a don Giovanni di Austria, Generale dell'armata
cristiana contro i Turchi. Dirimpetto all'altare del santissimo Sacramento, vi
è un antico monumento simbolico, che sembra aver rapporto ad Esculapio. Il
campanile di questa Chiesa è rimarchevole per la sua altezza e per la sua bella
costruzione; dicesi che sia stato fatto dall'Imperatore Barbarossa. La chiesa
della santissima Trinità è la più celebre di Gaeta e rimane fuori della città,
presso una rocca la quale, secondo
un'antica tradizione del paese, si spaccò in tre parti, in onore della santissima
Trinità, il giorno della morte del Nostro Divino Salvatore. Un grosso pezzo
caduto nella principale rottura della rocca e che vi si è arrestato, ha servito
di base ad una cappella del Crocifisso: essa è assai piccola, ma molto elevata
e sotto la medesima passa il mare, che bagna il fondo di questa crepatura di
rocca. La suddetta cappella è antichissima; ma nel 1514 fu fatta riedificare da
Pietro Lusiano di Gaeta. Bisogna confessare che la posizione di questa cappella
è singolarissima e che non si vede
esempio altrove di una simile situazione. Facilmente si conosce, che questa
divisione di rocca è provenuta da una violenta rottura, perché gli angoli
sporgenti in fuori sopra uno dei lati, corrispondono agli angoli entranti, che
sono nell'altro. Riprendiamo ora la strada di Napoli che abbiamo lasciato per
andare da Mola a Gaeta. Uscendo da Mola si costeggia il mare per un miglio di
cammino; dopo si perde di vista per il medesimo spazio, e si rivede a Scavali (Scauri),
piccolo villaggio dove forma un seno. Si fa ancora un miglio sulla riva del
mare e tre miglia più avanti si vedono gli avanzi di un anfiteatro, di un acquedotto
ed altre rovine, che dicesi essere dell'antica città di Minturno. Poco dopo si
arriva al fiume Garigliano che anticamente si chiamava Liris e separava il Lazio dalla Campania. Si passa questo fiume per
mezzo di un ponte fatto con barche. Sulla porta che conduce al detto ponte c’è
una bella iscrizione di Giunio Severiano, decurione in Minturno. In questo
luogo si lascia la Via Appia, la quale costeggia il mare fino all’imboccatura
del fiume Volturno, dove comincia la Via Domiziana. Le paludi, che il
Garigliano forma in queste vicinanze, ci fanno ricordare la sorte deplorabile
di Mario, di quel fiero romano, si spesso vittorioso nei combattimenti, sette
volte console, il quale fu obbligato ad immergersi fino al collo in quelle
acque fangose per involarsi alla ricerca dei satelliti di Silla; non ostante scoperto,
si libera di loro con intrepidezza ed anche li fa tremare con il suo contegno e
con il suo sguardo minaccevole…