Itri è un gran
villaggio situato sulla Via Appia, sei miglia lontano dal mare e vi si vede
ancora un grande avanzo delle mura ciclopico. Diversi autori vogliono, che
questa sia l'antica città, chiamata da Orazio “Urbs Namurrurum”. Questo
villaggio è piantato fra le colline, dove sono molte vigne, alberi di fichi, d'alloro,
di mirto e di lentisco, da cui scola la preziosa gomma del mastice: n'è la
situazione si amena, ne sono le campagne tanto deliziose e le produzioni si varie,
che non può vedersi senza provare le più deliziose sensazioni. Nell’avanzarsi
verso Mola di Gaeta, si vede sul lato destro della strada un’antica torre, la
quale si crede essere stata il sepolcro di Cicerone, eretto dai suoi liberti
nel luogo medesimo dove fu ucciso. E’ questo un edificio di forma rotonda
innalzato sopra un basamenti quadrato: la parte circolare è a due piani fatta a
volta e sostenuti nel mezzo da un masso rotondo in forma di colonna; questo
monumento è traversato da una strada, che potrebbe essere quella, per cui
Cicerone andava dalla parte del mare, quando fu assassinato. Poco lontano vi è
una fontana, che si suppone essere quella di Artachia, verso la quale Ulisse
incontrò la figlia del Re dei Lestrigoni, secondo Omero. Tra la Torre e Mola di
Gaeta la strada domina una dilettosa veduta della città e del golfo di Gaeta,
come anche del monte Vesuvio e delle isole circonvicine a Napoli. Otto miglia
dopo Itri si trova Mola di Gaeta che è un grosso borgo, situato presso il mare
del golfo di Gaeta. Fu edificato sulle rovine dell' antica Formia, città de' Lestrigoni,
la quale poi è stata abitata dai Laconiani, di cui parla Ovidio nel XIV libro
delle sue metamorfosi. Questa città era rinomata negli antichi tempi, per la
sua bella situazione e per la bontà de vini, che Orazio stima al pari di quelli
di Falerno. Fu poi distrutta dai Saraceni nell'856. Non vi è porto a Mola, ma
vi sono molti pescatori; la spiaggia è deliziosa: da una parte si vede la città
di Gaeta, la quale, avanzandosi sul mare, forma una superba veduta, dall'altra
parte, verso Napoli, si vedono le isole d'Ischia e di Procida. A Castellone,
che rimane tra Mola e Gaeta, vi sono i creduti resti della casa di campagna di
Cicerone, che egli chiamava “Formianum”, dove Scipione e Lelio andavano spesso
a ricrearsi, vicino alla quale lui fu assassinato, 44 anni avanti l’era
cristiana, in età di anni 64, nel tempo della grande proscrizione, mentre egli
fuggiva nella sua lettiga per liberarsi dal furore di Marc’Antonio. Cinque
miglia distante da Mola, si trova Gaeta, città di diecimila anime, situata sul
declivio di una collina. La sua origine è antichissima, credendosi fondata da
Enea in onore di Cajeta, sua nutrice, la quale viniori, secondo Virgilio (Eneide):
“Tu quoque littoribus nostris, Aeneia Nutrix,
Aeternam moriens fumam, Cajeta, dedisti, et nunc servat honos sedem tuus,
ossaque nomen Hesperia in magna, si qua est ea gloria, signant”. La situazione
di Gaeta è sopra un golfo, la cui spiaggia è deliziosa: era anticamente coperta
di belle case, ed ancora se ne osservano alcune rovine, come nel golfo di Baja;
ciò prova il gusto, che avevano gli antichi Romani per queste spiagge, le quali
veramente sono deliziose. Questa Città è quasi isolata nel mare e non comunica
col continente, che per una lingua di terra e vi si entra per sole due porte,
le quali son ben guardate. Il suo porto, che è grande e comodo, fu costrutto, o
almeno restaurato da Antonino Pio. Appresso al porto c’è un sobborgo assai
vasto. Si vede sulla sommità della collina di Gaeta, una torre, volgarmente
detta Torre d'Orlando, che è il monumento più rimarchevole di questa Città: Secondo
l'iscrizione che è sopra la porta, si conosce, che questo era il mausoleo di
Lucio Munazio Planco, che è riputato fondatore di Lione e quello che persuase
Ottaviano a preferire il sopranome “Augusto” a quello di “Romolo”, che alcuni
adulatori volevano fargli prendere, come restauratore della Città di Roma. Il
sullodato Mausoleo deve essere stato eretto sedici anni avanti l'Era Cristiana.
Vi si vede ancora una superba colonna di dodici facciate, sulle quali sono
incisi i nomi di diversi venti, in greco ed in latino. Nel sobborgo di questa
città c’è una torre chiamata “Latratina”: è di forma rotonda, quasi simile alla
predetta. Grutero (Jan Gruter, ndr) crede che sia stata un tempio di Mercurio e
che i suoi oracoli uscissero da una testa di cane, il che ha potuto far
chiamare il suo tempio Latratina, a latrando. In Gaeta vi è una buona fortezza,
la quale fu costrutta nel 1440 da Alfonso d'Aragona, accresciuta dal Re
Ferdinando e da Carlo V, che fece circondare la Città di grosse muraglie, tanto
che essa è riguardata come la principale fortezza del Regno di Napoli. In una
delle sue camere si è conservato per lungo tempo il corpo del Contestabile
Carlo di Borbone, generale delle truppe di Carlo V. Questo contestabile fu
ucciso nell’assedio di Roma, che fu saccheggiata dal suo esercito, nell'anno
1528, dopo che per gran tempo egli aveva tenuto assediato il Pontefice Clemente
VII. Vi si vedeva il cadavere stesso, diversi anni addietro; ma si assicura,
che il Re Ferdinando IV lo fece seppellire con funerali degni della sua reputazione.
Gaeta ha sostenuto ultimamente due lunghi assedi, uno nel 1806 contro i
Francesi e l'altro nel 1815 contro gli Austriaci. La chiesa cattedrale è
dedicata a sant’Erasmo, vescovo di Antiochia, protettore della Città di Gaeta.
Vi si vede un bel quadro di Paolo Veronese e lo stendardo, che san Pio V donò a
don Giovanni d’Austria, Generale dell'armata cristiana contro i Turchi.
Dirimpetto all'altare del santissimo Sacramento, vi è un antico monumento
simbolico, che sembra aver rapporto ad Esculapio. Il campanile di questa Chiesa
è rimarchevole per la sua altezza e per la sua bella costruzione; dicesi che
sia stato fatto dall'Imperatore Barbarossa. La chiesa della santissima Trinità
è la più celebre di Gaeta e rimane fuori della Città, presso una rocca, la
quale, secondo un'antica tradizione del Paese, si spacco in tre parti, in onore
della santissima Trinità, il giorno della morte del Nostro Divino Salvatore. Un
grosso pezzo caduto nella principale rottura della rocca e che vi si è arrestato,
ha servito di base ad una Cappella detta del Crocifisso: essa è assai piccola,
ma molto elevata e sotto la medesima passa il mare, che bagna il fondo di
questa crepatura di rocca. La suddetta Cappella è antichissima, ma nel 1514 fu
fatta riedificare da Pietro Lusiano di Gaeta. Bisogna confessare che la
posizione di questa Cappella è singolarissima e che non si vede esempio altrove
d'una simile situazione. Facilmente si conosce, che questa divisione di rocca è
provenuta da una violente rottura, perché gli angoli sporgenti in fuori sopra
uno dei lati, corrispondono agli angoli entranti, che sono nell'altro.
Riprendiamo ora la strada di Napoli, che abbiamo lasciato per andare da Mola a
Gaeta. Uscendo da Mola si costeggia il mare per un miglio di cammino; dopo si
perde di vista pel medesimo spazio e si rivede a Scavali, piccolo villaggio, dove
forma un seno. Si fa ancora un miglio sulla riva del mare e tre miglia più
avanti si vedono gli avanzi d'un Anfiteatro, di un Acquedotto ed altre rovine,
che dicesi essere dell' antica Città di Minturno. Poco dopo si arriva al fiume
Garigliano che si chiamava anticamente “Liris” e separava il Lazio dalla
Campania. Si passa questo fiume per mezzo di un ponte fatto con barche. Sulla
porta, che conduce al detto ponte, c’è una bella iscrizione di Q. Giunio
Severiano, Decurione in Minturno. In questo luogo si lasciala Via Appia, la
quale costeggia il mare fino all’imboccatura del fiume Volturno, dove comincia
la Via Domiziana. Le paludi, che il Garigliano forma in queste vicinanze, ci
fanno ricordare la sorte deplorabile di Mario, di quel fiero Romano, sì spesso
vittorioso nei combattimenti, sette volte Console; il quale fu obbligato ad
immergersi fino al collo in queste acque fangose, per involarsi alla ricerca
dei satelliti di Silla: scoperto non ostante, si libera da loro con
intrepidezza ed anche lì fa tremare col suo contegno e col suo sguardo
minaccevole. Il viaggio prosegue alla volta di Napoli. (Notizie tratte dalla
“Nuova guida di Napoli, dei dintorni di Procida, Ischia e Capri” di G. B. De
Ferrari – Tipografia Porcelli di Napoli, 1826).