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sabato 15 maggio 2021

I vini del golfo di Gaeta


Dall’antica città di Terracina (Anxur) nel medesimo lido della Campania, dove il golfo per una curva di cento stadi si stende fino al promontorio di Gaeta, che da il nome all’omonimo golfo, sorge la città di Gaeta famosa per l’antichità e per la sua forte posizione. Già. Virgilio ne eternava la fama coi nobilissimi versi che danno principio al canto 7°, celebrando la donna, onde fu nomata dal pio Enea: “Ed ancor-tu d’Enea fida autrice Gajeta, ai neutri lidi eterna fama desti morendo”. La qual città per la sua postura sull‘altissimo promontorio e poi magnifico porto, opera di Antonino Pio e per l‘amenità delle sue campagne, che si stendono per dieci miglia fino al fiume Garigliano, dove si aprono in vaste pianure con piccole collinetta di qua e di là della Via Appia e splendida per abbondanza di ottimi prodotti e di ogni qualità di vini, ma specialmente per la precoce fecondità. delle sue terre. Per il fatto che, essendo tutte irrigate le sue vallette da carezzevoli fonti, non è meraviglia che di li come dal mitologico corno dell‘abbondanza, pievano in tutto l’anno le primizie di ogni genere ad ornar le piazze di Napoli e di Roma. Per la qual cosa, sebbene per la prossimità dei colli Falerni non vi sia genere di uva che non vi provenga, tuttavia si ha quivi l’ambiziosa diligenza di aiutare in modo la natura del suolo favorita dalle aura marittime, che prima del mese di marzo si hanno quei prodotti, che nella stessa Campania felice non maturano che in maggio od in giugno tanto essi ne fanno anticipare i proventi e la fecondità fin dal tempo delle invernali bruma. Fra i vini detti generosi dagli antichi non si devono ammettere quelli di Fondi e di Formia, ciò che ci conduce a ragionare delle fecondità del territorio di Gaeta e delle altre città del litorale rispettabilissime ai Romani e celebrate dagli scrittori pei loro pingui campi e per vigneti una volta deliziosissimi e ne sono testimoni Orazio, come si è detto e Strabone e Plinio, specialmente cadendo loro il discorso sui divorzi della nobiltà romana che avvenivano frequenti in quelle terre e molto si fermano ad indicarne la naturale fecondità in ogni genere di produzioni, poiché lungo quei lidi una spontanea forza della natura presenta magnifico spettacolo di alberi, germogli di un verde perpetuo, boschetti di aranci, di pini, di lauro, intersecati qua e la da mirteti e da rigagnoli di acque di fonte che innaffiano perennemente i prati e le stesse piante. Dell’antica Formia poi appaiono anche oggidì maestose rovine sopra lo stesso seno di mare e non lungi dalla Via Appia sorge la cittaduzza di Mola, che prende il suo nome dall’essere stata edificata sulle moli (mucchi) di quelle rovine, non dalle moli che macinano le farine come hanno creduto alcuni, ora non ha che vigne e vini volgari. Lo stesso Marziale pur avendo tra gli altri luoghi più celebri d’Italia, commemorato, così scherzando, anche quelli di questo litorale, eccita anche noi il prurito di chiudere questo capitolo intorno al vino di tal lido, con quel suo epigramma del libro X che comincia “O dolce littorale della temperata Formia” dove antepone le sue delizie a quelle di ogni altro luogo d’Italia dei suoi tempi, non escluso il Tuscolano, il Tiburtino, Gabli, Prenesti e le amenissime baje, tanto per la temperatura atmosferica, quanto per il grazioso pendio del suolo e per la gioconda comodità della pesca, della quale dice che i pesci, sporta che loro è l’esca, accorrono a farsi prendere al noto fischio e scherzano davanti a chi li pesca e  li chiama per nome rombi, murene. (Notizie tratte dagli annali di viticoltura ed enologia italiana, direttore ing. Cerletti, del gennaio 1875).

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